Cortemilia è un piccolo gioiello dell’Alta Langa che racchiude molto più di ciò che lascia immaginare…
L’Azienda Agricola Barberis si trova a poco meno di due chilometri dal centro abitato di Cortemilia. E coltiva parte delle sue uve proprio sotto i resti del suo castello. Ci sentiamo per cui in dovere di tributare questo luogo a noi caro con il racconto della sua storia, affinché possiate meglio capire – e apprezzare – la terra che ci ha dato i natali e che ci ha reso ciò che siamo: appassionati, schietti, gran lavoratori.
Cortemilia. È innegabile che questa ridente cittadina possieda davvero un nome dal suono armonico e musicale, come il soffio del vento tra i filari. Ma da dove deriva? Da Cohors Aemilia, dei tempi di Marco Emilio, nel lontano 118 a.C., piena dominazione romana. Si dice che fosse uno dei più importanti centri agricoli delle Langhe e che sia arrivato ad avere addirittura cinque castelli. Fortificazioni minori, molto probabilmente. Eppure determinanti nel ribadire l’importanza del borgo anche dal punto di vista militare, data la sua strategica collocazione proprio a cavallo tra Piemonte e Liguria. Erano lande che non si attraversavano con tanta leggerezza. Almeno così ci credeva, fino a quando non giunsero, da molto molto lontano, i temibili guerrieri Saraceni. Era il X secolo.
Saraceni. Chi erano costoro?
Chiamateli arabi o musulmani, mori o berberi, ismaeliti o agareni, islamici o maomettani. Potevano provenire dalla penisola arabica o dalla Mauretania, quella fetta d’Africa litorale che, ad oggi, ricopre parte del Marocco e dell’Algeria. Il loro arrivo significava una sola cosa: devastazione e impoverimento demografico. Lo scopo delle loro incursioni era di razziare bottini nonché rapire uomini, donne e bambini per farne schiavi. Nei documenti dell’epoca, infatti, si parla di Cortemilia come desertis locis, luoghi deserti.
E così si legge: “Sui luoghi donati si trovano delle ruine…che i beni donati consistono in aree di terra aventi sopra di sé in parte dei muri e delle pietre, le quali furono già sale e solari, cioè, secondo il linguaggio di quei tempi, case ad uno o due piani, di cui rimanevano appena gli avanzi”. Parole che non hanno bisogno di commento. È la storia.
Cortemilia: nuova fioritura…e nuova decadenza
Dal momento che nulla, si sa, è per sempre, anche i Saraceni, alla fine, se ne andarono. Cortemilia rifiorì. L’economia ritornò a dare i suoi frutti e i commerci ripresero dal punto in cui erano stati interrotti. La cittadina divenne così primario centro storico dell’alta Langa, punto chiave di accesso alla Valle Bormida dotato di un invidiabile sistema difensivo, del tutto adeguato alla sua importanza e presente sin dai tempi di Ottone I e di quel mattacchione temerario che fu Aleramo.
La storia, però, ha i suoi corsi e ricorsi. E Cortemilia decadde per la seconda volta. Ma per cause diverse dalle precedenti. Era il 1520 e i genovesi avevano appena colmato il porto di Savona – al quale affluivano le merci che passavano attraverso la valle della Bormida – riducendolo ad un piccolo bacino di difficile accesso. Se ne saranno ben accorte le vedette che, dalla cima della torre del castello di Cortemilia, erano chiamate a controllare il passaggio del fiume verso sud…
Ad oggi, quell’alta torre è smozzicata, affiancata da qualche tratto di cortina e da un’altra torre, sempre cilindrica ma di dimensioni minori. Eppure, nonostante le sue malinconiche vestigia, queste rovine restano di proporzioni colossali, imponenti ed estese sull’intera estremità della cresta che, partendo dal Bric Cisterna, si protende fin sopra il paese, dominando l’abitato e tutto il passaggio circostante.
Il castello di Cortemilia, una storia tormentata
Le origini del castello di Cortemilia si perdono nella notte dei tempi. Incerta è anche la sua planimetria originaria. Si crede che risalga al XII secolo. Ciò che resta, tuttavia, lo avvicina non tanto alle analoghe costruzioni piemontesi, come quelle di Roddi, Serralunga o Grinzane, quanto ad esempi della vicina Liguria o dell’Oltrescrivia, in provincia di Alessandria. La più somigliante, per aspetto e tecnica costruttiva, è il castello di Grondona, a monte di Arquata Scrivia.
Infiniti, invece, i proprietari che si succedettero come feudatari: prima i discendenti di Bonifacio del Vasto e dei Del Carretto, poi i Marchesi di Saluzzo, nel 1322. Dieci anni dopo, invece, fu la volta degli Sacarampi, che lo tennero fino al 1575.
Nel mentre, tanto per mantenere sempre vivo il suo corso avventuroso, il castello dovette subire la pesante azione del famoso maresciallo d’oltralpe Brissac, durante la guerra tra Francia e l’Impero per il possesso del Milanese. Brissac, che operava in Piemonte, aveva passato il Tanaro a Farigliano, nella primavera del 1553, per rifornire nelle Langhe il suo esercito di vettovaglie e per chiudere le comunicazioni con la Riviera. Cortemilia cercò di resistere. Ma cadde nelle mani del nemico in seguito a una massiccia azione d’artiglieria: ben 1200 cannonate. Ciò che non andò distrutto durante le operazioni militari fu demolito successivamente.
A guerra conclusa, il castello venne poi annesso, nel 1615, ai domini di Casa Savoia. E da questi, restaurato alla bella meglio dopo un ardito attacco di un esercito di ben 6000 Spagnoli, in quel del 1649. Poco dopo, fu definitivamente distrutto dalle truppe francesi. Di tutto si può dire, di questa struttura, tranne che la sua storia sia stata monotona e prevedibile. Pare, infatti, che sia anche custode di una curiosa e insolita leggenda…
C’era una volta…
C’era una volta una giovane fanciulla di nome Stefanella, ma chiamata semplicemente Nella. Era nata in una torre del castello di Borgomale, dove la madre Adelaide era stata rinchiusa per aver respinto il cognato Lionello che, in assenza del fratello e legittimo marito Ulderico partito come crociato per l’Oriente, voleva farla sua. Quando Adelaide morì, Nella venne affidata a una famiglia di coloni che abitava presso la Madonna della Pieve. E, inutile dirlo, negli anni diventò così bella da ammaliare il figlio di Lionello, Dagoberto, giovane cortese, leale e amato da tutti.
Le carte si scoprirono quando quando, durante i festeggiamenti organizzati dalla popolazione in onore delle sue numerose imprese eroiche, Dagoberto chiamò a sé Nella che, impaurita e timorosa, esitava a inginocchiarglisi innanzi per l’omaggio dovuto, e la baciò pubblicamente. Il padre Lionello non gioì. Fece rinchiudere la fanciulla nella torre del castello di Bergolo. Fortunatamente il rimorso per le malvagità compiute ebbe la meglio e, consultato il padre superiore del convento di S. Francesco in Cortemilia, liberò la fanciulla, rivelandole la sua nobile origine. Nella, infatti, credendo di essere un’umile contadina, si era rifiutata di sposare Dagoberto, nonostante l’amore che provava.
Purtroppo, mentre già fervevano i preparativi per le nozze, un’improvvisa inondazione del torrente Bormida allagò la casa di Nella. La ragazza si salvò rifugiandosi sul tetto. Ma Dagoberto, che cercò di raggiungere a nuoto la fanciulla, quando fu vicino alla casa – a un passo da salvare il suo amore – questa crollò. Nella fu ritrovata esanime tra le macerie e il fango, gli occhi spalancati e interrogativi, in cerca di una risposta perduta…